Io lo chiamo Pietruzzo, è il ragazzino che mi ha permesso di conoscere e capire nel mio piccolo lady Dislessia. Da tre anni a questa parte lottiamo insieme contro le difficoltà scolastiche. Insieme facciamo i compiti e studiamo divertendoci, abbiamo trovato un metodo di studio efficace e adatto a lui.
Il mio obiettivo è quello di far parlare dei DSA poiché spesso vengono trascurati o nascosti, se parlo di Pietruzzo è perché non ho intenzione di trattare l’argomento con un’impronta specialistica e tanto meno con un linguaggio tecnico o medico (sono una grafica, no?), non mi occupo di psicologia quindi porterò la mia esperienza e scriverò attraverso le parole di chi i DSA li vive tutti i giorni sulla propria pelle, in famiglia o sul posto di lavoro.
Per questo ho deciso di collaborare con la famiglia di Pietro e con chiunque avesse voglia e piacere di portare la propria testimonianza.
Un giorno mi sono presentata da Pietruzzo, gli ho dato un foglio bianco e alla mia richiesta di scrivere cos’è a parole sue la dislessia ha deciso inconsciamente di volermi lasciare a bocca aperta.
La dislessia è un problema che ti dà delle difficcoltà come nei calcoli e nella lettura. Per me la dislessia è la tua pegior nemica e col tempo diventerà la tua migliore amica e ti aiuterà a diventare grande, intelligent e maturo insieme ad altri amici come la calcolatrice e il formulario. Purtroppo c’è poca gente che veramente sa cos’è, e non tutti capiscono come mi sento”.
Premettendo che ho fatto le mie per convincerlo a scrivere su un foglio senza righe, che per farlo ha sentito la necessità di costruire una mega-barriera di raccoglitori ad anelli affinché io non spiassi o non lo fissassi e che ha anche deciso che nel momento in cui io avrei letto i suoi pensieri avrebbe avuto urgenza a correre in bagno, una risposta così non me l’aspettavo.
Una difficoltà, un disturbo, un problema; tutto mi sarei aspettata ma la dislessia una nemica/amica mi ha stupito.
Poi la botta grossa: “non tutti capiscono come mi sento”.
Oggi Pietruzzo ha 14 anni e sa benissimo che i compagni non capiscono e forse non capiranno mai.
Come possono dei ragazzini sapere il motivo per cui un compagno svolge verifiche più corte o scrive al computer se nessuno mai parla di quello che sembra ancora un tabù? Come possono nella loro ingenuità a non prendere in giro chi sbaglia le doppie o fatica a leggere in pubblico?
Secondo me i miei compagni non sanno cos’è la dislessia perché quando leggiamo ci prendono in giro. Quando devo leggere mi viene sempre l’ansia e a volte salto le virgole e le parole”.
Nessuno ne parla, i genitori spesso se ne vergognano, i professori spacciano verifiche semplificate di nascosto. Poi c’è Pietruzzo che nell’ora di religione decide spontaneamente di aprirsi con la classe delle medie…
A scuola ho parlato del mio problema e sono a conoscenza della mia difficoltà, però non capiscono perché mi servono gli schemi durante la verifica o interroggazioni”.
Sei grande Pietruzzo!
A scuola mi vedono diverso per questa difficoltà, la scuola mi aiuta però i miei compagni non sono rispettosi nei nostri confronti”
e poi ancora
mi piacerebbe tantissimo che ci fossero degli incontri per spiegare questo problema ma tanto i miei compagni non capirebbero nulla perché non gli importa niente”.
Leggendo quest’ultima frase ho provato tanta tristezza;
caro Pietruzzo hai proprio ragione, forse tu sei “diverso dagli altri, un po’ più speciale”.