Dal punto di vista di Charlie

Oggi vi presento Carlotta, ma potete chiamarla Charlie.

Ha 24 anni ed è laureata in Scienze Psicologiche dello Sviluppo e dell’Educazione.

Charlie ha frequentato l’università di Padova e ha lavorato nell’ambito della disabilità e dei disturbi dell’apprendimento.

Incuriosita da Bidipicù ha deciso di scrivermi. La sua testimonianza, come tutte le vostre, per me ha un valore incommensurabile.

Le sue parole esprimono il suo pensiero, ed è equivalente al mio: la Lady rende unici, è una risorsa, non un limite.


“A novembre 2017 ho iniziato una speciale avventura presso una scuola di formazione professionale per operatore alla ristorazione SFP in provincia di Verona. Qui ho scoperto Lady Dislessia e le altre sue Sorelle, sono compagne di viaggio degli studenti.

Ricordo il primo giorno che ho iniziato in questa scuola. Tornare tra i banchi delle superiori, ma dal lato della cattedra, è stato molto forte e strano.

Davanti a me ragazzi dai 14 ai 17 anni, ognuno con la propria storia, con il proprio zaino e con il proprio sguardo. 

Mi avevano preparata ai coloriti casi di ciascuno di loro: c’era chi aveva solo poca voglia di studiare, chi aveva disturbi dell’apprendimento, chi del comportamento. Ma ai miei occhi erano tutti uguali.

I giorni passavano e iniziavo a scorgere qualcosa di bello oltre a quelle parole con cui, a livello di certificazioni, erano definiti. 

Marco è dislessico.” 

No, Marco non è dislessico. Marco è Marco e tante altre cose. 

Ognuno al proprio fianco aveva uno o più componenti di questa strana e spigolosa famiglia dei Disturbi dell’Apprendimento. 

Tanti avevano Lady Dislessia come compagna di banco, altri avevano anche Discalculia, Disortografia e/o Disgrafia. 

Inizialmente, da “brava” insegnante ed educatrice, ogni pomeriggio raccoglievo materiale scolastico che fosse alla loro portata. Mi fermavo qui. Ritenevo di aver fatto il mio dovere.

Pian piano, però, capivo che quei fogli, schede o attività alternative, con questi ragazzi finivano lì dove cominciavano. 

Da loro avevo determinate richieste, avevano certi bisogni.

“Io sono Marco. Punto e fine. Non sono il mio disturbo.”

Ecco, loro volevano essere visti, conosciuti, per quello che sono. Desiderio di tutti, no? 

Così ho iniziato a volerli scoprire davvero, partendo dalle loro passioni e dai loro sogni. 

C’era chi era fortemente innamorato della cucina e superava ogni prova culinaria con spavalderia; chi non la vedeva come il sogno della vita, ma che si divertiva e si sentiva in famiglia in quelle ore passate assieme; chi aveva più difficoltà, a volte falliva, ma aveva la tenacia di rialzarsi e riprovare. 

Cominciavo ad imparare ad ascoltarli davvero, dall’argomento superficiale della partita di calcio al problema con la famiglia o con il/la fidanzato/a.

Ogni loro parola per me era un tesoro. 

Avevo abbandonato a questo punto l’idea dell’insegnante come dispensatore di saggezza, che riempie l’alunno di nozioni ed informazioni. 

Ho iniziato ad adattare il materiale scolastico a quello che gli piaceva, lasciando a loro la possibilità di trovare la strategia migliore per comprendere l’argomento della lezione. 

Lo studio degli argomenti veniva fatto tramite esperienze concrete, tramite racconti di persone esterne, tramite gite finalizzate.

Tutti noi professori eravamo una super squadra coesa nel voler insegnare così ai ragazzi.

In questo modo i muri creati dal loro limite si sono dissolti e si sono aperte nuove strade.

Strade che portavano a loro, al loro futuro e alla loro determinazione. 

Un esempio di esperienza che ai ragazzi è piaciuta moltissimo, è stato partecipare in due gruppi all’Escape Room. Questi ragazzi leggono male le lettere, faticano a fare i conti senza l’aiuto della calcolatrice ma sono riusciti, grazie alla forza del gruppo e al divertimento, a superare i loro limiti e darsi man forte. Sono riusciti a fare operazioni logiche che, in una qualsiasi lezione di matematica, avrebbero abbandonato e minimante affrontato.”

 


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