DSA secondo l’insegnante

Bidipicù vuole essere anche un’occasione per dar voce a chi ne sa più di me.

Nel mio percorso ho potuto confrontarmi con una delle figure più vicine al bambino con DSA: l’insegnante.

Oggi parla Lucia, racconta la sua esperienza mentre risponde ad alcune mie domande.

 

Mi chiamo Lucia, sono insegnante di scuola primaria in ruolo dal lontano 1983.

Ho iniziato la “carriera” con un anno di sostegno e poi ho fatto l’insegnante unica per tre anni, ho insegnato solo arte per altri due e infine ho insegnato per sei anni solo le discipline dell’area antropologica e per tredici anni matematica e scienze. Sempre ho affiancato alle materie principali una o più attività espressive (musica e arte).

Insegno italiano solo da otto anni, questo è il secondo gruppo di bambini con cui faccio il percorso di apprendimento della lettura e della scrittura. A onor del vero devo dire che tutte le discipline che ho approfondito e insegnato mi sono piaciute!


 

Le capita spesso nelle sue classi di avere ragazzi con DSA? Ha ricevuto della formazione per riconoscere e gestire questi casi?

La conoscenza e l’attenzione per la problematica DSA si è affacciata alla scuola in maniera significativa e sistematica una decina di anni fa, o poco più, anche se la legge che disciplina questa materia e vuole favorire il successo scolastico degli alunni DSA e del 2010.

La mia formazione sugli aspetti di questa difficoltà è nata fuori dell’ambito scolastico, quando ho seguito nell’attività pomeridiana il figlio di una mia conoscente che aveva una diagnosi in tal senso; si è trattato quindi inizialmente di autoformazione, su testi pedagogisti.

Nella scuola poi non era ancora presente la consapevolezza per bimbi DSA o con altri disturbi dell’attenzione.

Successivamente, quando sono passata ad insegnare italiano, ho ricevuto una formazione più specifica frequentando un corso di aggiornamento in quanto figura referente per la mia scuola del Progetto di Rilevazione Precoce delle Difficoltà di Apprendimento della letto-scrittura.

(Si tratta di un progetto che segue e monitora fin dalla prima elementare, attraverso attività strutturata dagli esperti, corretta secondo criteri standardizzati e valori di riferimento, il processo di apprendimento cogliendo i segni di eventuali difficoltà. È il primo approccio che poi porta ad un eventuale avvio al Servizio per gli accertamenti e la diagnosi).

Per quanto riguarda la discalculia, tutto il processo di attenzione e monitoraggio è partito da ancor meno anni.

All’interno della mia scuola si svolgono ogni anno un paio di incontri di approfondimento e confronto sul tema DSA e nel corso degli anni si è incrementato anche il patrimonio di sussidi e strumenti compensativi a disposizione per la didattica inclusiva.

Pensandoci ora, col senno di poi, mi redo conto che sicuramente ho incontrato, nelle numerose classi in cui ho insegnato, bambini DSA che non ho potuto riconoscere e aiutare, non avendo allora le conoscenze e gli strumenti!

Nell’ultimo ciclo scolastico che ho completato avevo due alunni con diagnosi di dislessia e disortografia l’uno, disortografia l’altro.

Per entrambi, purtroppo, gli specialisti avevano diagnosticato ulteriori difficoltà come iperattività e disturbo dell’attenzione e lieve ritardo dello sviluppo linguistico.

È da tenere presente che le diagnosi vengono fatte in via ufficiale tra la terza e la quarta elementare.

In entrambi i casi, anche se per motivi diversi, le famiglie non hanno accettato facilmente la proposta di  rivolgersi  al Servizio per l’età evolutiva dell’ ULSS per le indagini; il loro convincimento è stato per lungo tempo che i bambini dovessero “maturare”, anche di fronte agli evidenti intoppi che stavano incontrando sul loro cammino di apprendimento.

Qual è la reazione del genitore quando l’insegnate comunica la possibilità che il figlio abbia un disturbo dell’apprendimento?

Un altro aspetto DSA che non risulta facile da accettare è che non si tratta di una malattia che prima o poi guarirà, ma di una incompleta strumentalità che va sostenuta con supporti specifici.

A volte la famiglia cade nel “tranello dell’intelligenza”: i ragazzi DSA sono intelligenti e spesso maturano spontaneamente strategie utili ad orientarsi nella vita quotidiana per cui le loro difficoltà specifiche non emergono in maniera netta ed evidente nel mondo fuori della scuola.

Nel corso della sua esperienza ha riscontrato utili ed efficaci le agevolazioni alle quali hanno diritto i ragazzi con DSA? 

Nel caso dei miei due alunni le difficoltà a scuola erano abbastanza grosse, aggravate dalla presenza dei fattori di cui ti ho parlato prima. 

In accordo con le colleghe che operavano con me nella classe, abbiamo messo in atto alcune delle strategie che prevede la legge 170:

  • uso del pc per la scrittura (con correzione automatica)
  • uso di tabelle di regole ed esempi di facile consultazione 
  • uso di testi ridotti e facilitati per gli argomenti di studio
  • uso di mappe riassuntive per affrontare le verifiche e le interrogazioni
  • per la scrittura si è lasciato l’uso dello stampato minuscolo e dei quaderni a quadretti
  • in fase di verifica gli items erano ridotti nel numero e nelle possibili risposte
  • spesso erano previsti meno distrattori o un minor numero di termini da inserire per i completamenti
  • le istruzioni degli esercizi erano “spezzettate” in una serie di singole azioni più facili da gestire dal punto di vista operativo
  • il tempo a disposizione per gli esercizi e per le prove è sempre stato un po’ di più rispetto a quello  dato alla classe
  • uno strumento utile è anche il tutoraggio fra pari nello svolgimento di attività di studio ed esercitazione

Sono più che convinta che le strategie e gli  strumenti messi in atto per sostenere l’impegno degli alunni DSA siano validi, a patto che siano utilizzati con continuità, che siano conosciuti e praticati anche a casa specialmente finché si tratta di alunni della scuola primaria.

Trova che i ragazzi con DSA siano abbastanza seguiti e aiutati anche a casa?

Nei casi della mia esperienza, le famiglie non riuscivano molto a collaborare; una di loro rifiutava che per il figlio si usassero strumenti dispensativi e compensativi, giudicandoli un modo per farlo sentire “diverso” dai compagni. 

Come si comporta un’insegnate nei confronti del ragazzo con DSA? 

Dal punto di vista della relazione personale, affettiva ed educativa, non mi sono comportata in modo diverso con i DSA rispetto al resto della classe; anche i compagni non hanno mai emarginato o fatto differenze nei momenti di gioco o di lavoro di gruppo.

Dalla sua esperienza pensa che il ragazzo con DSA conosca veramente la problematica?

Bella domanda! Negli anni della scuola primaria secondo me non ne sono consapevoli in modo chiaro, almeno nella maggior parte dei casi; devono essere accompagnati a prenderne conoscenza per affrontarle, maturando le strategie per “aggirare” (in senso buono!) gli ostacoli.

 

 

Le è capitato che il ragazzo con DSA, consapevole della sua problematica, la utilizzi come motivazione per impegnarsi meno?

Essere DSA come scusa per non impegnarsi… sì, occasionalmente mi è successo di osservarlo, specie per giustificare le dimenticanze.

Quale consiglio darebbe a un’insegnante che per la prima volta si trova ad avere a che fare con un caso di DSA?

Ad un insegnate che si trovasse a lavorare in una classe con alunni DSA suggerirei di sfruttare gli strumenti compensativi e dispensativi a disposizione e di organizzare le attività a piccoli gruppi per svolgere attività di recupero guidate fin dall’inizio del processo di acquisizione della scrittura e lettura.

È  fondamentale la capacità degli adulti di attendere i tempi dell’apprendimento che sono individuali.

 

Spero di ever soddisfatto le tue domande!

Un saluto! Lucia


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